mercoledì, novembre 30, 2005

Urla di dolore coperte dal chiacchericcio mediatico nostrano

Cristiani in pericolo di vita in molte parti del mondo. Ci sarebbe bisogno di una campagna di stampa e di pressioni internazionali;ci si dovrebbe aspettare anche una maggiore attenzione da parte del mondo cattolico occidentale.
di Antonio Socci
Oso pensare che alla fine papa Benedetto XVI non tacerà perché ascolterà questo grido. Non il mio (che non ho titoli), ma quello di tre poveri cristiani messi a morte a causa della loro fede. Tre contadini cattolici, nel più popoloso Stato islamico del mondo, l'Indonesia.Oso crederlo perché con Ratzinger - allora cardinale - ho parlato a lungo, anche un anno fa, il 16 ottobre, dei cristiani perseguitati e ho visto un gran dolore sul suo volto e gli ho sentito pronunciare parole decise sui tanti persecutori delle minoranze cristiane. Il levarsi della sua voce sicuramente farebbe clamore, accenderebbe anche i riflettori dei media su questo vergognoso caso, su questa annunciata macellazione, inducendo forse le autorità a recedere dal proposito sanguinario. Oltretutto l'Indonesia non è un Paese arretrato, ma in forte sviluppo.Tante volte i mass media hanno fatto clamorose campagne a favore di questo o quel condannato a morte negli Stati Uniti. Nulla da dire, anche se il sistema giudiziario americano è serio, è tipico di un Paese democratico e normalmente condanna solo i colpevoli (salvo errori giudiziari). È giusto combattere la pena di morte sempre, anche negli Usa (ricordo la campagna fotografica di Toscani). Ma per tre poveri contadini cristiani innocenti, condannati a morte ingiustamente da un sistema giudiziario iniquo, in un regime di discriminazione e di violenza islamica, non sembra che i media vogliano sprecar fiato e inchiostro. Allora non resta che sperare nel Pontefice. Anche se s'intuisce che possa essere indotto alla prudenza perché i vescovi indonesiani sono impauriti dalle ritorsioni (soprattutto dagli attentati che i fondamentalisti minacciano per il prossimo Natale).Il regime islamico indonesiano è innanzitutto il responsabile dell'invasione di Timor Est nel 1975. L'occupazione di questa terra cristiana, durata 25 anni, ha provocato 300mila vittime su 800mila abitanti, è terminata cinque anni fa, su pressione degli Stati Uniti e dell'Onu, e con essa anche il genocidio. Ma su quella strage di cristiani, su cui secondo la deliberazione Onu si doveva indagare, è stato steso un velo di silenzio. Nessun caporione indonesiano sarà denunciato o chiamato a risponderne.Ora resta il problema delle minoranze cristiane dentro il territorio dell'Indonesia. Per esempio la regione delle Sulawesi ha la presenza di una consistente comunità cattolica, contro la quale fra 1999 e 2000 si è scatenata la violenza dei fondamentalisti musulmani a cui i cristiani hanno risposto con una decisa autodifesa (gli scontri hanno fatto circa duemila vittime). Il fanatismo islamico sta dilagando sempre di più come dimostrano gli episodi recenti, avvenuti proprio in questa regione: a Poso un mese fa tre studentesse cristiane sono state sequestrate, sgozzate e decapitate; il 18 novembre un'altra ragazza di 22 anni è stata ammazzata a colpi di machete e il giorno dopo hanno sparato a due cristiani che uscivano da una chiesa riducendoli in fin di vita.La situazione è particolarmente grave perché l'insediamento di Al Qaida nel Paese, dopo gli attentati di Bali, sembra evidente e i terroristi possono contare su una certa inadeguatezza delle forze di polizia o forse addirittura su connivenze, come quelle di cui già godono chiaramente (nell'esercito) i gruppi fondamentalisti che hanno scatenato le violenze del 2000. Infatti per quegli eventi nessun musulmano è stato processato. Sono stati invece arrestati e condannati a morte tre cristiani, Fabianus Tibo (60 anni), Domingus da Silva (42 anni) e Don Marinus Riwu (48 anni), che sono poveri contadini analfabeti.Il loro arresto da parte della polizia e il processo, secondo gli osservatori, sono stati pesantemente inquinati dalle pressioni dei fondamentalisti musulmani che hanno preteso ad ogni costo dalla giuria (e l'hanno ottenuta) la condanna capitale. Il vescovo di Manado, monsignor Suwatan, ha protestato dichiarando ad AsiaNews che i tre cristiani sono innocenti, essi «non sono i responsabili, ma le vittime degli scontri a Poso» (nei quali fu distrutta la parrocchia di Santa Teresa, un convento di suore e diverse scuole cattoliche). Nonostante la protesta della Chiesa le autorità hanno rifiutato la revisione del processo e il 10 novembre il presidente ha respinto anche la domanda di grazia.Inutilmente il vescovo di quella piccola comunità cristiana chiede ora da solo di fermare l'esecuzione dei tre poveri innocenti. Ci sarebbe bisogno di una campagna di stampa e di pressioni internazionali, ci sarebbe bisogno dell'intervento di organizzazioni umanitarie (soprattutto quelle che si battono contro la pena di morte come «Nessuno tocchi Caino»). Ma non se ne vedono, almeno per ora, per difendere questi tre Abele (speriamo nei prossimi giorni). Perciò sarebbe prezioso l'intervento pubblico dello stesso pontefice che certamente starà già facendo il possibile, per canali riservati, come si evince dalla presenza sul posto del Nunzio apostolico.A dire il vero ci si dovrebbe aspettare anche una maggiore attenzione da parte del mondo cattolico occidentale: giornali, movimenti, parrocchie, episcopati. Si potrebbe e si dovrebbe realizzare una campagna di stampa, una mobilitazione nelle sedi internazionali (la Commissione diritti umani dell'Onu, quella dell'Ue), ma sembra non ci siano risorse per salvare i cristiani in pericolo di vita (non solo in Indonesia, ma anche in Cina, in Corea del Nord, in Vietnam). La Chiesa americana si è letteralmente dissanguata per la gestione sbagliatissima, da parte dell'episcopato, del cosiddetto «caso pedofilia». Gestione che ha finito per far passare la Chiesa come connivente quando semmai è vittima. Una gestione che ha pure compromesso - con una strategia costosa - la posizione degli innocenti accusati ingiustamente.Ma si è mai pensato di pagare un pool di avvocati internazionali per difendere i cristiani in pericolo come i tre contadini indonesiani? Eppure i cristiani dovrebbero sentire il vincolo della comunione cattolica come è stato per secoli, fin dalle origini. Ma non sembra sia così. Dieci giorni fa il presidente americano Bush è andato in Cina e lì pubblicamente ha chiesto ai despoti libertà per i cristiani perseguitati. Si è preso gli sberleffi di gran parte della stampa nostrana. E il nostro mondo cattolico ufficiale è parso indifferente. Proprio mentre da noi si celebrava la giornata contro le violenze sulle donne, sedici suore francescane cinesi a Xian sono state massacrate di botte (una ha perso la vista, un'altra è grave) perché «cercavano di impedire la demolizione di una scuola che appartiene alla diocesi e che il governo della città ha venduto a un'azienda» (AsiaNews). Ieri si è saputo di altri sei preti arrestati e sprofondati nell’orrendo Laogai. Ma da noi ci sono anche riviste cattoliche dove si asserisce che in Cina le cose per i cristiani vanno bene e che perfino in una cupa dittatura come l'Iran - dove i cristiani sono in una situazione disperante - la presenza dei cattolici sarebbe «indisturbata». Sarà ritenuta «indisturbata» anche la vita dei tre cristiani indonesiani? O forse siamo noi che non vogliamo essere «disturbati», nel nostro sonno, dalle grida disperate degli oppressi?
Il Giornale n. 284 del 30-11-2005

giovedì, novembre 24, 2005

Piovego Redux

Ebbene sì.
Dopo mesi a forza di panini e tesori culinari dell'Onto, a causa del sovraffollamento marzoliano, la mensa Piovego rimaneva un lontano ricordo di un semestre primaverile sbiadito. Le pizze attese per quaranta minuti, le ragazze che filtravano la loro bellezza attraverso i raggi del sole, l'acqua con le pantegane che nuotavano facendo il morto ( e forse morte erano ). Ed ora, in una giornata di novembre con il clima natalizio, il fato ci aiutò a riavvicinarci ai ricordi di matricole: un disperato Zotti si rallegrava per la prossima installazione del proiettore ( vd. Last Lamp Standing ) ma si flagellava cantando salmi penitenziali per l'improvvisa rottura degli altoparlanti ( la cui sostituzione appare lontanissima data la loro appartenenza al corso di laurea di chimica ). Così, Lerio, Socio ed io ci ritrovammo, spinti dalle notizie e da un bisogno di ritorno alle origini, seduti in una sedia rialzata davanti ad un tavolo bianco. La fila fu lunga, ma fatta con gioia. Gli zainetti della gmg si contavano a decine, e finalmente pasti proteici privi di grassi ritornavano nei nostri palati universitari. A parte la cotoletta impanata "che ti odia" del Lerio e le patate "sbuderate" sempre del Lerio. Però, tornare in Aula A, facendo salticchiare un'arancia con la mano, memore di vecchi ricordi ed esperienze, memore della voce tuonante della Busà e dei cabaret istruttivi di Mastro Stella, punzecchiato da un vento freddo, mi fa capire che la vita va avanti, le situazioni si sistemano, il Piovego riapre.

venerdì, novembre 18, 2005

L'Amendologia 18/11

Un tripudio di cori festanti accolse oggi la fiammeggiante comparsa di Totò La Mendola. Dopo più di due settimane, Egli tornò con una lezione decisamente più che ROCK.

Carri imbanditi d'ogni bene sfilarono per l'aula A, accompagnati da ballerine succinte; artisti di strada e saltimbanchi d'ogne sorta si cimentarono in volanti giochi pirotecnici, coadiuvati dal luccicante filo cristallino tessuto da La Mendola; il proiettore riprese a funzionare displayando per un secondo Quarto Potere a colori, l'impianto audio resuscitò dai morti con "Welcome to the jungle" dei Guns a volumi assurdi, tra le urla dei fisici poco lontani; nella ressa, folle festanti inneggiavano alla candidatura a Re d'Italia, schiere di quattordicenni urlanti "TI AMO!"si sporgevano da dietro le transenne, interazionisti simbolici interagivano simbolicamente ed etnometodologi etnometodoleggiavano, mentre nel cielo passava un aereo munito di mastodontico festone recante la scritta "GOFFMAN FOREVER".

Lui, il Rex Mundi, giunse sul suo cavallo bianco, salutando la massa indossante tutte le maschere possibili, che nemmeno Ensor ne "L'entrata di Cristo a Bruxelles" avrebbe mai fatto, così come centinaia di scimmiette dispettose garantivano l'ordine pubblico, infastidendo pesantemente la tranquilla folla che subito si infiammò al passaggio del Salvatore.

Spiedi arrostiti giacevano immensi nel cortile antistante l'aula, con centauri maledetti dagli occhi color rosso-led che giravano ridendo le carni sulle braci, mentre tutti gli studenti, impazziti, si lanciavano in tremendi "J'accuse!" contro Goffman, sfide che Salvato' affrontava impavido con la sua fiammante spada laser, rispedendo i colpi al mittente con indicibile classe; Babbo Nachele non citò "la mia gombagna" in una domanda, e ciò mise per un microsecondo in difficoltà Totò, ma con un geniale cambio di stile vergò il colpo di grazia alle nostre teste con l'imitazione dell'orsacchiotto affettivo; dopo qualche minuto il Piovego andò in secca, le nutrie presero parte al convivio cantando assieme "Perchè è un bravo sociologo" e le facoltà vicine smisero le lezioni per andarsi a bere uno spritz. Poco più in là, qualcuno mangiava tranquillo alla Marzolo un panino col crudo.

Dopo ore di indimenticabili tumulti, il simbolo La Mendola portò una diffusa euforia generale come tonalità emozionale condivisa, un inno glorioso si diffuse tra le masse accorse, fu salutato l'arrivo dei casseur francesi, giunti per festeggiare l'evento sfasciando Padova, e comparve un immenso arcobaleno di fuochi artificiali nel cielo a formare un "Totò sei tutti noi" a lettere cubitali.

Molti altri fatti si narrano di quel giorno ancora oggi, storie di magia e maledizione sociale, ma questi racconti si perdono ormai nella leggenda...e tu...viandante che passi dall'aula A...watch your back by the Phantom of La Mendola!

giovedì, novembre 03, 2005

Last lamp standing

C'era una volta un uomo. Era un omino di latta, di plastica e di vetro. Non molto atletico, per la verità, piuttosto un piccoletto, cicciotto, che ispirava simpatia al primo sguardo. Per uno strano scherzo della natura, era nato con un occhio solo, ma speciale: poteva vedere oltre gli altri uomini, poteva vedere oltre e portare quelle immagini a tutti.

Il piccolo omino era diligente negli studi: crebbe sereno tra le varie aule di scuola, andava daccordo con i compagni e la vita trascorreva serena. Un giorno di qualche anno fa, entrò all'Università di Padova, proprio a Scienze della Comunicazione; il corso gli piacque subito, ne fu entusiasta a tal punto che volle rimanere per molti anni, tanto l'appassionava.

Ogni giorno era presente a lezione, talvolta si assopiva per qualche minuto, ma la sua presenza era una certezza su cui contare. Non dava molti esami, per la verità, ma era ormai diventato un personaggio conosciuto e benvoluto da tutti, compagni di corso, studenti e professori, tanto da non pagare nemmeno più le tasse universitarie.

Il tempo passa per tutti, ahimè, e anche per il nostro omino il tempo passò inesorabile: con l'età iniziarono i primi acciacchi, che intristirono per primi i professori, sgomenti nel vederlo in quello stato e decisi ad aiutarlo: con cure amorevoli e pazienza, migliorava di tanto in tanto, donando la speranza che sarebbe rimasto al nostro fianco per molto tempo ancora.

Ma l'omino si intristiva sempre più: iniziò a bere e a condurre una vita sregolata, e l'infelice scelta gli fu fatale: dopo pochi mesi si ammalò di epatite, malattia che iniziò a manifestarsi vistosamente nel colorito giallo dell'occhio, provocando segni di disperazione tra gli studenti più affezionati e i docenti.

Determinato a non deluderli, l'omino di latta, plastica e vetro continuò a venire a lezione, ma tutti si accorgevano del suo peggioramento, lento ma inesorabile: non era più lo stesso, l'occhio era diventato oramai solo l'ombra di ciò che era anni prima, sembrava irriconoscibile. Non era più vigile e attento come un tempo, ma sempre chino sul legno del banco, con l'occhio spesso chiuso per la fatica; a volte non sembrava neanche rispondere agli stimoli, tanto grave era la sua situazione.

Un giorno vennero due dottori a visitarlo, e sancirono il verdetto: la sua era una malattia incurabile. Non c'era più posto per il povero vecchio omino in aula A, bisognava fare largo ai giovani, più prestanti e funzionali. Il povero vecchio omino non prese male la notizia, anzi sembrò tirare quasi un sospiro di sollievo quando lo sentì: finalmente, dopo tanti anni, il giusto riposo.

Il vecchio omino, ormai allo stadio terminale della sua malattia degenerativa, venne rimosso dall'aula A, che da molti anni era stata la sua casa, in una fredda mattina del mese di Novembre 2005. Alla cerimonia parteciparono le autorità del Corso di Laurea e molte centinaia di studenti, alcuni ormai laureati, grati al vecchio omino per il servigio reso alla causa.

Si dice che ora quell'omino vaghi felice tra le stelle, guardando l'infinito con il suo grande occhio in technicolor, o che stia riposando tranquillo in qualche luogo perduto. L'unica certezza che possiamo avere, è che stia meglio dov'è ora, la, nel paradiso dei proiettori.