lunedì, luglio 18, 2005

Musica e p2p

Il Divano d'Ivano
Rubrica periodica di cultura

Assistiamo quotidianamente a ondate di multe, proteste ed arresti nei confronti dei "pirati dell'mp3", rei di condividere musica illegalmente tramite i programmi p2p. Le major discografiche si riempiono la bocca di discorsi sulla "tutela dell'opera d'arte", mentre nascondono nell'altra mano i 10 euro netti che guadagnano dalla vendita di ogni CD (all'artista ne arrivano 1-2). Non casualmente, parlano come imprenditori con operai specializzati al loro servizio. Ed è proprio questo il punto.

Il discorso del "tutelare l'opera d'arte" varrebbe qualcosa nel caso ci fossero veramente delle opere d'arte da tutelare: ma nell'industria culturale odierna non si va per bravura, ma mazzette o conoscenze, raccomandazioni.

Che ci sia davanti un gruppo o un altro, al giorno d'oggi non fa alcuna differenza. Il livello degli ascoltatori è basso, cercano la canzone che non fa pensare tanto per tener occupate le orecchie. Nessuno li biasima, ma che non li chiamino "artisti" nè che guadagnino miliardi ingiustamente. Se gli "artisti" delle major fossero veramente tali e quindi non intercambiabili, vi sarebbe un trattamento molto più curato per essi, in quanto la migrazione degli stessi verso un'altra major porterebbe alla migrazione del pacchetto-affezionati; cosa che nella musica "usa e getta" non avviene, vista l'arbitrarietà dell'abbinamento e la facilità di creazione della stessa.

Se la musica "cultural industry" fosse davvero free vi sarebbe una gara alla qualità, poichè è risaputo ormai che musica di questo tipo si riesce a fare con pochi soldi e poche idee; ciò costringerebbe gli artisti ad innovare, per poter essere distinti dalla massa: perchè ciò? Perchè una volta avvenuta la liberalizzazione del registrato, sarebbe l'era del live assoluto, con tour ovunque, magari anche a prezzi migliori, vista la maggiore frequenza.

Questo porterebbe ad una maggiore innovazione, perchè uno non va ad ascoltare "Yeah" ad un concerto. L'unico ambiente in cui la musica dovrebbe essere a pagamento, è negli esercizi commerciali, in quanto se uno realizza guadagno partendo da un prodotto fornito gratuitamente, è equo che divida i proventi con chi ha fornito il prodotto.

Il fatto poi di essere slegato dalle logiche economiche di produzione permetterà all'artista di essere assolutamente libero nella creazione, senza essere costretto ad ascoltare il produttore grassone che vuole ora la canzone "commerciale", ora la canzone "romantica"; questo si tradurrebbe probabilmente in una trasformazione del prodotto musicale da "industria culturale" a "cultura", almeno per una parte di esso.